Un pugno chiuso che si appoggia sulla guancia: un gesto che nella Lingua di segni è prezioso come una carezza, perché significa “Mamma”. Ed è il primo gesto che mamma Emanuela ha voluto che suo figlio Matteo imparasse, una volta entrato alla Lega del Filo d’Oro. Un pugno chiuso che racchiudeva in sé l’infinito amore e gli infiniti sacrifici che la mamma e la famiglia hanno fatto affinché il loro piccolo potesse avere una vita degna e piena d’amore. Ascoltando la storia di Matteo sembra impossibile che sia quella di un bambino: un percorso così complesso, difficile e doloroso, viene da pensare, sarebbe difficile da affrontare anche per un adulto.
Matteo nasce a 23 settimane di gravidanza, con un peso di poche centinaia di grammi e dopo una grave emorragia che ha rischiato di uccidere lui e la mamma. Negli otto mesi trascorsi in terapia intensiva il suo cuore si ferma tre volte. Per tutto il tempo è stato alimentato da un sondino naso-gastrico e ha respirato grazie ad un respiratore. Un polmone non si è mai sviluppato e a causa di un’infezione ha perso una gamba. Non vede assolutamente nulla, ma può percepire dei suoni.
I sette anni successivi sono stati un percorso a ostacoli dove l’amore e forza dei genitori ha fatto sì che Matteo fosse nel migliore dei modi, senza però avere mai la possibilità di uscire dalla sua bolla: fino a quando il cammino della sua famiglia si incrocia con quello della Lega del Filo d’Oro.
Per Matteo è una rivoluzione: grazie alle metodologie della “Lega” inizia ad aprirsi al mondo esterno, ad accettare ad esempio di essere imboccato dagli operatori invece che solo dai famigliari. Impara a comunicare con tutti e il suo primo supporto è il fratello Gabriele, che ha tre anni meno di lui e che con pazienza, amore e con l’ostinazione preziosa dei bambini gli ripete le parole finché lui non le impara.
Quello che ha colpito particolarmente mamma Emanuela è che alla “Lega” ci si prende cura di tutta la famiglia: qui si smette di sentirsi soli, ma si diventa parte di un sistema virtuoso dove ognuno deve fare il proprio dovere, per il bene di Matteo ma anche della famiglia stessa.
E Matteo non è più il bambino sfortunato che non può fare: ha infinite possibilità da sviluppare grazie alla competenza e alla professionalità di chi ogni giorno lo tira fuori dal suo isolamento e lo mette in contatto con il mondo. Con i segni ora sa dire “Matteo ancora bere” ed esprimere bisogni e preferenze. Sa andare in bagno da solo: un traguardo di autonomia importantissimo nella quotidianità.
Tutti fanno il tifo per lui: dalla famiglia agli operatori della Sede Territoriale di Napoli e del Centro Nazionale di Osimo. Anche tu puoi restargli accanto e rendere migliore la sua vita!
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